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Questa è la storia di una donna che non voleva cadere.

Ho perso il lavoro due anni fa, dopo una vertenza lunga e dolorosa. Mi ritenevo fortunata, ero stata l’ultima ad andare via prima della vendita dell’azienda.

Avevo deciso di usare il tempo della cassa integrazione a mio vantaggio riqualificandomi e costruendo il mio futuro iniziando da qualcosa che amo da sempre. Fare la pasticciera.

Così decido di iscrivermi ad un corso professionale di alto livello. Lo concludo con successo e qui la prima delusione. Mi viene detto che nonostante le mie capacità non sono idonea ad uno stage per colpa del mio carattere “polemico” tendente a proteggere i compagni di corso e a contestare le “ingiustizie”.

Non mollo e con la forza che mi ha sempre contraddistinto riesco a procurarmi la possibilità di fare uno stage.

Non è facile: ho 46 anni e nessuna esperienza professionale nel campo se non la formazione, qualche esperienza amatoriale e la passione.

Riscrivo il curriculum che ovviamente aveva solo esperienze di informatica (20 anni nello stesso campo, 15 nella stessa azienda, ndr) e includo anche le molte esperienze amatoriali nel settore gastronomico.

Porto il CV in giro e una famosa pasticceria romana accetta di farmi fare lo stage. Un vero stage nel quale avrei realmente la possibilità di imparare il mestiere. Giubilo!

Attivo la procedura attraverso la scuola che ho frequentato, mando il cv… e dopo 10 giorni ricevo una telefonata. L’azienda che si occupa di gestire le pratiche dice che non posso fare lo stage perché troppo specializzata. Secondo i burocrati che si occupano del caso quelle tre righe di esperienze amatoriali, svolte gratuitamente o come volontariato sono “lavoro” ed essendo “lavoro” risulta che ho già troppa esperienza per poter accedere a degli stage.

Dopo richieste di spiegazioni riesco a far riaprire la pratica ma dicono che devo recarmi al centro per l’impiego per avere uno storico delle mie esperienze lavorative. Spiego che chi si trova in CIGS non può iscriversi al centro per l’impiego perché non è licenziata ma ancora in carico all’azienda anche se questa è in liquidazione.

Non serve. Diligentemente mi reco nell’ufficio e l’impiegato fatta una ricerca (in modalità occupato, ndr) non trova nessuna informazione sul mio fascicolo. Questo perché ai miei tempi le iscrizioni all’ex collocamento si facevano con il libretto cartaceo che poi passava da un datore di lavoro ad un altro e rimaneva in giacenza presso il posto di lavoro.

Ricostruire la carriera lavorativa vuol dire iscriversi al centro per l’impiego e quindi perdere il diritto alla cassa integrazione. In più qualche giorno fa è entrata in vigore l’ennesima riforma Fornero che prevede l’accesso allo stage solo a chi guadagna fino a 8000 euro l’anno precludendo di fatto questa possibilità a chiunque si trovi in cassa integrazione non in deroga.
Ricordo perfettamente l’atteggiamento della ex ministro rispetto a chi si trova in Cassa Integrazione: gente che si adagia con un reddito facile e non fa niente per uscire da questa condizione… certo poi fa una legge di merda che non mi fa fare gli stage, quindi non mi fa riqualificare, quindi non mi aiuta ad uscire dalla cassa integrazione.

Un mix di disperazione e di rabbia mi invadono e vedo per l’ennesima volta negare una possibilità di risalita. Non avevo chiesto niente, il corso me lo sono pagato con i risparmi (4000 euro, ndr) per lo stage non voglio rimborsi proprio perché percepisco già un sostegno economico. Chiedo snellezza, velocità mentale ai passacarte di uno Stato che è arrotolato nella sua stessa burocrazia.

A prima vista sembrerebbe che il centro per l’impiego e la Regione lavorino completamente scollati da Inps e Ministero del Lavoro. Se sei in cassa integrazione guadagni straordinaria con decreto ministeriale non passi mai per il centro per l’impiego anche quando sospendi la cassa per lavori a tempo e lo stesso per i lavori socialmente utili o tirocini che dir si voglia. Resti sempre legato alla tua azienda e alla procedura in corso. Le istituzioni non si parlano e se provi a muovere qualcosa è la fine…

Mi chiedo perché nell’ottica delle politiche per l’occupazione si creino compartimenti stagni diretti ai giovani e non si possano creare nicchie per recuperare i meno giovani… la famosa generazione perduta quella tra i 35 e i 50 completamente persa e dimenticata dallo Stato.

Per concludere l’avventura su suggerimento dell’impiegato mi rivolgo alla mia azienda o a quello che resta… ma ovviamente gli archivi sono in un magazzino chissà dove nell’interland milanese e la ricerca non è così immediata. I documenti che mi vengono forniti (cv presente in azienda e dichiarazione della stessa in cui si dichiara la mia anzianità aziendale e lo stato di sospensione dal lavoro con ricorso alla CIGS) e l’estratto conto INPS dei contributi non servono allo sportello stage per certificare le esperienze lavorative.

Mi chiedo se stavolta mi arrenderò. L’incazzatura è tanta e soprattutto la consapevolezza che si parla di occupazione senza conoscere i buchi neri della burocrazia.

Les jeux sont faits

Allo spettacolino di Natale una delle battute di Edoardo così recitava: «Novità dalla disoccupazione: nuove befane assunte».

A tutta la famiglia la befana ha portato la cassa integrazione senza soluzione di continuità. Quindi penso che mi candiderò per il posto di befana… visto che come programmatore non mi vogliono più.

Dopo due anni abbondanti dall’inizio di questa storiaccia i giochi si concludono con la vendita di Agile (il settore information technology ceduto da Eutelia nel 2009 a prenditori di larga fama)  o meglio di 180 (?) persone su 1300 dipendenti.

Rien ne va plus.

 

E’ possibile avere un mondo migliore?

Edoardo ultimamente confronta spesso realtà e fantasia, soprattutto quando lo colpisce qualcosa, che siano personaggi negativi dei cartoni o animali strani che vorrebbe incontrare. Me lo fa notare dicendomi, a volte tirando un sospiro di sollievo a volte con rammarico, che quella cosa non esiste nel SUO mondo.

Sarà passato per la testa di tutti i genitori la volontà di avere per il proprio figlio un mondo “migliore”. Non voglio neanche pensare così in grande vorrei che il paese in cui viviamo fosse “migliore”.
L’Italia si è rotta ci diciamo spesso a casa ma io vorrei lasciare una eredità diversa a mio figlio.

Le generazioni che ci hanno preceduto si sono arrese. Molti di quei figli del ’68 (o giù di lì) ora sono rassegnati, si fanno scivolare addosso la vita con frasi alla “tanto è così”.

Ma per me la rassegnazione è morte!

Non possiamo sperare che ci pensino i nostri figli a cambiare il mondo. Sarò un’illusa ma penso che si possa reagire. Non con atti eclatanti ma con piccoli gesti quotidiani.

Ieri sono stata ferita a morte quando, parlando con un ex attivista, sono stata portata ad esempio dell’inutilità di lottare riferendosi al fatto che nonostante ciò probabilmente perderemo il lavoro. Il tutto condito da frasi di “contentino” tipo: “Tu sei fortunata perche sai reagire, hai la forza per farlo”.

Ma che vuol dire?
Non si deve mica “spaccare il mondo”, ma si può far rispettare i propri diritti, con forza e determinazione. Devo crederlo… altrimenti c’è solo disperazione.

Cosa c’entra questo con Edo e il suo futuro?
Mi auguro vivamente di non rassegnarmi mai alla disgregazione culturale del mio paese. Mi auguro di non essere solo un fuoco di paglia e di accompagnare mio figlio verso… un mondo migliore!

Un anno di lotta ovvero chiuso per ferie

Chi ha seguito la storia di Agile ex Eutelia sa che ormai è passato un anno da quando siamo stati catapultati in un disastro economico di dimensioni artistiche.

Nel giorno della ricorrenza dell’anniversario della Cessione di Ramo d’Azienda Agile s.r.l. da EUTELIA spa ad OMEGA spa il 15 giugno è iniziato il presidio permanente a Piazza Montecitorio e nell’occasione sono stati messi nero su bianco i principali passi della vertenza. Un esercizio di memoria per tutti.

Questo il testo:

Giugno 2009: Il giorno 15, a sorpresa, ed in piena trattativa sindacale presso il Ministero dello Sviluppo Economico, 2000 lavoratori Eutelia vengono trasferiti in Agile e contestualmente venduti per 96.000 euro ad Omega. A capo di questo nuovo soggetto industriale vengono posti due noti fallimentaristi.
Luglio 2009: In piena Bagarre aziendale, nella più completa assenza di direttive manageriali, la proprietà impone 3 settimane di chiusura aziendale collettiva. Gli stipendi non arrivano. 1200 lavoratori, a seguito di un’analisi di merito sui criteri di trasferimento in Agile di persone e contratto, impugnano la cessione di ramo d’azienda.

Settembre 2009: Sollecitato ripetutamente ad intervenire, il Ministero dello Sviluppo Economico si fa garante della nuova proprietà; il Ministro Scajola firma un documento con date e criteri di pagamento degli stipendi e di presentazione di un piano industriale.

Il giorno 30 il comune di Roma rescinde un importante contratto di servizi informatici, per sfiducia nei confronti della nuova proprietà.

Ottobre 2009: La proprietà apre una procedura di licenziamento collettivo per 1192 lavoratori.

Il giorno 28 i lavoratori di Roma occupano la sede di via Bona, esercitando una sorta di autogestione per ben 157 giorni, allo scopo di garantire continuità di prestazione presso i presidi dei clienti legati contrattualmente all’azienda; il tutto in assenza di retribuzione e di rimborsi spese. Successivamente anche le altre sedi nazionali più importanti vengono occupate.

Novembre 2009: Il giorno 10 un gruppo di squadristi, travestiti da poliziotti, armati di tutto punto, irrompe nella sede di Roma, aggredendo il personale presidiante. il giorno 26 il Ministro Tremonti, attraverso la trasmissione televisiva “Anno Zero”, afferma che quello di Eutelia è un caso che deve essere risolto e che è impossibile che una società quotata in borsa possa essersi messa in un casino di queste dimensioni.

Dicembre 2009: Il Sottosegretario Letta, concorda con le organizzazioni sindacali il seguente piano di azione: denuncia per insolvenza al tribunale fallimentare di Roma, Commissariamento e impegno governativo per la costituzione di un tavolo di trattativa tra enti pubblici centrali e locali, clienti, soggetti industriali interessati al rilancio dell’azienda. Il giorno 23 il tribunale fallimentare di Roma sequestra l’azienda e la pone sotto custodia cautelare.
Febbraio 2010: Tentativo da parte della proprietà di riappropriarsi dell’azienda con la richiesta di concordato preventivo che produce ulteriore slittamento della sentenza.

Marzo 2010: Il giorno 10 durante lo svolgimento di un manifestazione autorizzata davanti Palazzo Chigi, 21 lavoratori non identificati dalle forze dell’ordine tra le centinaia che manifestavano per l’intervento istituzionale di sostegno al reddito, non percepivano retribuzione da oltre 5 mesi, venivano multati per importi variabili da 2500 a 10000 euro.

La magistratura condanna Eutelia ed Agile per comportamento anti sindacale (art. 28) ed ordina alle parti di rimuovere gli effetti della cessione di ramo d’azienda.

Aprile 2010: Il 20 il tribunale fallimentare di Roma respinge la richiesta di Concordato e affida l’azienda a tre commissari per la verifica sulle condizioni di amministrazione straordinaria.

Maggio 2010: Il tribunale di Arezzo dichiara insolvente Eutelia e la affida a tre commissari straordinari 2 dei quali hanno custodito Agile prima del commissariamento. Il tribunale di Milano, su richiesta del P.M. Greco che apre un’inchiesta a seguito di un esposto penale presentato dalle Organizzazioni Sindacale insieme ai lavoratori, dichiara insolvente Libeccio che è la controllante del gruppo Omega che è a sua volta controllante di Agile.

Dopo sette mesi senza stipendi, finalmente arriva il primo misero assegno di cassa integrazione.

In azienda l’immobilismo più totale da parte dei commissari.

Dopo 12 mesi di lotte e di vittorie legali il destino dei 2000 lavoratori sembra essere quello di SCOMPARIRE.
Nonostante il sacrificio e la tenacia dimostrata nel voler perseguire quanto richiesto dal Sottosegretario Letta per rilanciare un’azienda saccheggiata da falsi imprenditori ed impoverita sia dallo sciacallaggio di aziende concorrenti sia dall’immobilismo delle istituzioni, il silenzio più totale.

Dal 20 Aprile aspettiamo invano un segnale di giustizia.

Oggi ad un anno esatto dall’inizio della lotta per la difesa del posto di lavoro, sembra chiaro che tutto ciò che il potere economico rappresentato dalle Banche e da Finanzieri senza scrupoli e assecondato dal Governo, è la volontà di farci sparire e dimenticare che esiste un caso EUTELIA Information Technology.

Con questa nostra presenza permanente in Piazza Montecitorio, ed attraverso lo strumento dello SCIOPERO DELLA FAME, vogliamo dimostrare OBBEDIENZA alle istituzioni, assecondando quanto in questi lunghi e travagliati mesi il potere politico ha dimostrato di perseguire:
L’ANNIENTAMENTO.

Lavoratori Information Technology Eutelia ANCORA IN LOTTA

Ma quello che non si può dire è che dietro tutto questo ci sono molti problemi di ordine pratico e ideologico. Per poter organizzare per esempio uno sciopero della fame si ha bisogno di volontari si, ma anche di tanta fermezza, determinazione e coerenza.
Spesso bisognava ricordare ai presenti che era meglio evitare di mangiarsi un panino nelle vicinanze di chi rinunciava al cibo per una causa comune. Un esempio di leggerezza che non paga.

Siamo stati 53 giorni in presidio permanente in Piazza Montecitorio ma il 4 agosto, dopo un incontro puramente formale con il sottosegretario Gianni Letta, la piazza è stata “sgomberata” dal camper che ci ospitava.
Forze di polizia? No, abbiamo fatto tutto da soli.
Perché? Tutti avevamo bisogno di riposo.

E riposo sia allora. Ma la risposta giunta dai commissari straordinari (peraltro presenti all’incontro con Letta in cui si è parlato di rilancio e salvaguardia di posti di lavoro, ndr) è una richiesta di CIGS per tutto il personale in forze, cioé 1485 unità.

Le Déjeuner sur l’herbe

Erano anni che non passavo il Primo Maggio fuori porta e quest’anno come non farlo con i miei colleghi. Così tutti sotto la sede Eutelia di Arezzo per simboleggiare che il lavoro ce lo hanno tolto e noi non smetteremo di ricordarglielo.

Tra i racconti della manifestazione del giorno prima e qualche boutades abbiamo trascorso una bella giornata, come sappiamo fare da quando è iniziato questo incubo. Perché, come mi piace ricordare a chi non ha retto allo sconforto e si è isolato, stare insieme e condividere è un grandioso antidepressivo.

Il 30 la città è stata solidale e generosa e i colleghi non si sono certo risparmiati. Il 1° è stato il giusto risarcimento per lo stress da manifestazione.
E io dalla mia ci ho messo le coccole dolci: una scatola di muffin alle fragole e al cioccolato che non è durata più di 5 minuti…

.. tanto graditi anche da Edo che non me ne ha dato neanche un pezzetto.

Giustizia è fatta!

Giro l’angolo di via Lepanto quello su via delle Milizie. Il marciapiede è pieno di colleghi, in visibile ansia. I toni sono bassi, di quelli che attendono. Poi il boato.

Vedo correre da dietro la camionetta dei Carabinieri, Michele e Vittorio che urlano: “Amministrazione straordinaria”. Un attimo di incredulità. Poi ci lanciamo tutti in un abbraccio collettivo. Le lacrime scendono copiose.

Ho ancora i brividi mentre lo scrivo.

La notizia sui giornali è già decotta, l’emozione no.

Diario della settimana

Martedì 6 aprile: qualcosa è cambiato. Stamattina una strana emozione. Dovrebbe essere una mattina come tante. Ma non lo è.
Vado a lavorare (sempre senza un obiettivo) ma stavolta mi manca qualcos’altro. La sensazione di cadere nel vuoto di questi ultimi mesi ora è … senza paracadute. Il 2 aprile si è rotto. Il presidio in qualche modo dava una sensazione di sicurezza. Potevo andare a parlare con i miei amici e colleghi. Quelli con cui condivido le stesse emozioni.
Ora devo stare in stanza con chi non sono sicuro mi capisca realmente. Perché ha smesso di lottare (o di reagire) da tre mesi.
“Vorrei che fosse già domani” mi ha detto il Procione.

Mercoledì 7 aprile: sciopero e presidio davanti al tribunale fallimentare di Roma. Siamo in attesa della sentenza: noi vogliamo l’amministrazione straordinaria, l’azienda ha presentato il concordato. Alle 12 ci dicono che uno dei giudici sta male e non ci sarà consiglio e tanto meno sentenza. Tutti a casa con la coda tra le gambe e il paracadute  sempre più rotto. A domani.

Giovedì 8 aprile: Esco dal lavoro fiduciosa. Speranzosa. Vado a mangiare qualcosa con gli altri manifestanti e insieme aspettiamo la sentenza. Mentre mangiamo arriva la notizia: i giudici hanno deciso di dare altro tempo all’azienda per presentare i documenti mancanti. Sembra un po’ il decreto salva-liste. E la caduta è vertiginosa.
E’ da giorni che penso alla famosa citazione dal film L’odio:

Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.

Venerdì 9 aprile: al lavoro mi scontro con gli ignavi che mi deridono per il mio accanimento nella lotta, e mi danno pure lezioni di vita. Uno mi dice: “Tu non sai. Ci sono persone che stanno male, che piangono a casa. Non si può giudicare”. Beh certo detto a me che:  che vado a lavorare senza soldi, mi faccio il maggior numero di presidi e scioperi, cerco di mandare avanti la mia famiglia, la mia vita. E mi becco i calci sotto la sedia per farmi stare zitta dal Procione. “Non ti curar di loro” è il suo motto.

Sabato 10 aprile: Sono andata ad un dibattito su/tra lavoratori (ex) Eutelia e Ispra . Si parlava anche della situazione dei nuovi schiavi a Nardò, in Puglia. Un dibattito alla parliamoci addosso, nel senso che purtroppo ce lo diciamo tra noi… ma la gente “comune” pare non accorgersi di cosa succede veramente in Italia.
Avevo trascorso praticamente tutto il giorno al negozio dei negozi come Edo ama chiamare il centro commerciale. E dopo una giornata immersi nel consumismo (anche se noi andiamo mirati sulle necessità vista la scarsissima liquidità del periodo), avrei voluto che tutti quegli zombi (perché come insegnano i film orror agli zombi piacciono i centri commerciali, ndr) fossero presenti.

Il mio umore se già non particolarmente alle stelle subisce le parole dei relatori. E le lacrime non si fanno attendere.

C’è qualcosa di sacro nelle lacrime. Non sono il segno della debolezza ma del potere. Sono i messaggeri di un dolore schiacciante e di un amore indicibile. [Washington Irving].

Elaborare il lutto

Questa mattina è stato l’ultimo giorno di terapia foniatrica, intrapresa a fronte di numerose “perdite di voce”. Mezzora, due giorni a settimana dedicata a me stessa. Respirare, rilassarsi, e staccare col mondo. Ebbene questo non è stato mai possibile. Con questa situazione mentale (e fisica) che dura ormai da quasi 9 mesi non sono mai riuscita a lasciare tutto fuori.
Così ho detto basta. Non senza dolore.

Stasera cena al presidio per salutare Ciccio che va via. Torna nella sua terra perché qui non ha più un lavoro. E’ sospeso. Forse in attesa di Cassa integrazione (forse perché le lettere non sono ancora arrivate, ndr).
C’era gioia in quel banchetto ma poi è finito il cibo. Il vino. E allora gli sguardi sono cambiati.

Da qualcuno è arrivata la proposta tanto “attesa” e tanto “scongiurata”: lasciare il presidio. Un colpo allo stomaco. Anche se io l’ho lasciato in modo assiduo ormai da un po’, mi rendo conto che è ancora un punto di riferimento.
Qualcuno ha detto “abbiamo perso”. Vi assicuro che abbiamo lottato come leoni, contro tutto e tutti. Una forza più grande di noi era il nostro avversario: la disonestà.
Abbiamo sbagliato sicuramente in qualcosa. Abbiamo dato fiducia e ci hanno ripagato togliendoci la dignità.
Abbiamo perso. Oppure non abbiamo vinto dice il saggio.
Ma abbiamo lottato. Chi non lo ha fatto, non lo ha mai fatto, e quel 28 di ottobre ha solo criticato e ora è in sospensione, come si sentirà. Io non c’ero quando quella mattina si è deciso di occupare. L’emozione, mi hanno detto, è stata fortissima.
Quando una mattina gli ultimi si chiuderanno la porta dietro  di loro vorrei esserci.

Ma sarà dura elaborare il lutto.

Lavoro. A che punto siamo?

In questo momento abbiamo a vegliare sull’azienda i custodi che il 17 febbraio hanno visto mettere in discussione il loro lavoro di analisi per permettere al tribunale di decidere sul concordato preventivo presentato dall’azienda. Decisione, questa, che ci ha lasciato senza parole perché rimandata al 31 marzo.
Quel giorno (il 17 ndr) ci siamo guardati e abbiamo detto che altri 40 giorni sarebbero stati impossibili da trascorrere. Ne avevamo già 120 di occupazione alle spalle. E ancora senza stipendio da 5 mesi. Anche se in verità  ‘sti bravi custodi sono riusciti a pagarci perfino il 65% dello stipendio di ottobre qualche giorno fa. Perfino!

Certo non è che i soldi li possano fabbricare è ovvio. Senza quasi più commesse, e qualche cliente invece che fa finta di niente e non paga. Allora per risolvere la situazione hanno deciso di “sospendere” in attesa di giudizio (Cassa integrazione, ndr)  più di 1000 colleghi. Così oltre al danno di tutti questi mesi pure la beffa della lettera di sospensione!

Dopo una settimana di depressione cosmica per tutti, qualcuno ha ricordato il fuoco sacro che ha guidato le prime attività di lotta. Così si è iniziato a creare eventi spontanei per cercare di bucare di nuovo il silenzio intorno a noi. Un gran silenzio infatti ci ha coperto, fuori e dentro il presidio. Ogni occasione è stata buona per portare la nostra testimonianza.
Abbiamo trascorso un intero giorno girando per i punti nevralgici del potere, dal Quirinale a Palazzo Grazioli passando per  Montecitorio. Con ognuno una lettera al collo, abbaiamo costruito una frase simbolo.

Qualche giorno fa un collega si è calato da un muraglione sul Tevere all’altezza di ponte Umberto I, davanti il palazzo di Giustizia. A mo’ di pendolo si è dondolato a scandire il tempo che passa. Che ormai è finito, perché se nessuno interverrà per noi non ci sarà futuro. Ma il silenzio non è ancora rotto. Neanche dopo 8 ore di occupazione di via Del Corso.

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Io sono tra coloro che qualcuno ha definito fortunata perché ancora ho una commessa su cui lavorare… ed è veramente difficile ormai alzarsi la mattina motivati per andare a lavorare. Soprattutto se penso che “forse un giorno” mi pagheranno perché altri sono stati sacrificati e mandati in CIGS.
E allora devo essere la prima a scioperare. E mi arrabbio quando i miei colleghi mi chiedono: “Ma tu cosa metti oggi come giustificativo: sciopero o ferie?”. Ancora… non sono bastati tutti questi mesi di lotta, di privazioni, di sacrifici, di umiliazioni. Ci facciamo ancora vessare dai “capi” di turno. Che spesso hanno paura della loro stessa ombra.

Ieri ho partecipato allo sciopero della CGIL. Abbiamo aperto il corteo di Roma noi della Agile ex Eutelia. Tra quelli che lavorano eravamo solo in tre. Gli altri tutti sospesi.
Dopo la manifestazione sono tornata al lavoro. La persona per cui sviluppo software mi ha sempre dimostrato  la sua stima e soprattutto in questo momento ci ha portato spesso come esempio. Ma ieri mi ha colpito molto quando mi ha detto che si sente molto in imbarazzo a chiedermi di sviluppare cose nuove non sapendo se per me ci sarà un futuro nella mia azienda. Si sente di approfittare della situazione.
Qualcuno si sente in colpa, ma come sempre non sono le persone giuste.

Mi fa bene fare la suffragetta

Ci guardiamo con G. esterrefatte. “Ma siamo tanto anacronistiche?” ci chiediamo. Perché quando parli di diritti, di lavoro, di dignità la gente ti guarda come se fossi un alieno?
Un collega ci aveva appena detto che con l’ideologia non si mangia… ma lui però va a mangiare al presidio tutti i giorni…
Oggi poi qualcuno mi ha detto che tanto lo Statuto dei lavoratori è stato calpestato quindi cosa serve lottare… a me sembra proprio il contrario… ricordiamoci che esiste. E anche che la costituzione cita all’art. 1:

«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.»

e all’art. 4:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.»

Ricordiamocelo quando si intraprendono battaglie faticose e dolorose.
Noi abbiamo e stiamo continuando a lottare con fatica per i nostri diritti ma spesso ci troviamo uno contro l’altro.
Certo è un’utopia pensare che tutti i lavoratori di una azienda messi davanti ad uno stesso tragico destino reagiscano nello stesso modo. Così ti trovi a scontrarti con chi pensa solo al suo cartellino orario. Alla sua dannata timbratura.

Oppure alzi gli occhi e guardi la tua collega che vorrebbe partecipare alla manifestazione, o all’assemblea, ma deve andare a riprendere il figlio a scuola e ha un marito che non la supporta, che non gradisce, che deve lavorare … e poi lui è un uomo e si sa che i figli sono delle madri. E allora pensi a tutte quelle donne che hanno lottato per ottenere il suffragio e per i pari diritti.

“Fare la suffragetta” mi ha dato la possibilità di scavare dentro di me e riscoprire che c’era tanta forza da poter andare avanti per mesi sapendo che avrei avuto ragione di questa situazione. Di incontrare e apprezzare altre donne, a volte fragili ma forti e resistenti. E di apprezzare la mia famiglia, il mio Procione, il mio cucciolo e sapere che sono fortunata ad averli così disponibili, presenti, attenti. E tutto questo tiene vivi e fa anche ringiovanire.